Le mestruazioni sono simbolo di femminilità, ti dicono.
Te lo dicono ormai solo quando con le mestruazioni ci hai litigato.
Io lo so bene, non è stato facile per me rapportarmi con quel sangue che mi ricordava, non proprio puntualmente, chi ero e chi stavo diventando.
Grande lo sono un po’ sempre stata, come è accaduto a tanti mi è stato chiesto di diventarlo in fretta e un po’ ammetto che me lo sentivo addosso. Grande però non è un sinonimo di donna.
Che diamine era questa faccenda che non si può essere solo “esseri umani”?
Perché devo avere questo assillante promemoria di femminilità?
Non voglio dare attenzione a questa cosa, devo già mettere in ordine la mia adolescenza sgangherata, la mia scoperta dei limiti, il mio moroso neopatentato e un po’ scapestrato.
E le mie amiche? Loro mica lo sanno cosa vuol dire essere donna, perché dovrei saperlo io?
Che poi mi mette ansia, ogni mese vorrei far finta di non dovermele aspettare, ma poi se non arrivano sequestro le farmacie di test di gravidanza.
Che stress.
Eppure quando le mestruazioni sono arrivate per la prima volta, mi hanno scossa come un albero pieno di frutti maturi.
Lo ricordo con amore, ero a casa con mio padre.
Conservo ancora il tappo della bottiglia di Ferrari aperta per celebrarmi. Sopra incisa una data: 6 maggio 2003
Avevo 12 anni, un futuro davanti e sole due certezze: la fiera beonaggine del ramo paterno e la costanza del mio animo nel dischiudersi quando arriva il sole. Nulla più.
Io credo nell’autenticità, la cerco da sempre e la pratico da tanto.
Proverò allora a raccontarvi come è andata da allora per me, in questo modo: autentico.
Non ci prepara nessuno alla convivenza con le mestruazioni, alcune fortunate hanno ricevuto spiegazioni o libri sul tema in regalo, le più si sono costruite un’idea sulla base di cosa avevano captato dall’ambiente che frequentavano. Che cosa diceva la mamma al riguardo? E le sorelle?
Io e mia madre abbiamo sempre avuto un rapporto molto aperto, il bagno era una stanza come un’altra, ma quando lei doveva cambiare l’assorbente mi ricordavo che il bagno aveva anche una porta e che l’avrei trovata chiusa.
Penso di esser partita con le migliori intenzioni quando io e il mio ciclo ci siamo presentati. Non avevo particolari pregiudizi, ma non sapevo tante cose. La lotta vera è iniziata con l’arrivo dei ragazzi.
Con A. è nata la mia prima storia, iniziata giocosa e leggera come richiede quell’età. Lui è stato “la prima volta”. La prima volta per moltissime cose, ma anche la prima volta in cui mi sono spaventata per un ritardo. 18 giorni. Notti insonni e prospettive da “ragazzi dello zoo di Berlino” mi affollavano la testa. La teatralità da adolescenti, si sa…
Quando le mestruazioni finalmente sono ricomparse tra lacrime e dissenso ho preso posizione, o meglio, ho preso distanza: “Basta, non mi fregate più”.
La prima pillola estro-progestinica è entrata nel mio organismo quando avevo 16 anni. Sostituita diverse volte è stata scalzata dall’anello contraccettivo a 20 anni, il quale è restato fino ai 24.
Nel mentre A. non è restato, è diventato R. che è scivolato via lasciando il posto a B. e infine, tra alcune belle anime di passaggio, a M. e a V.
V come Vincenzo, mio attuale immenso amore.
Nel tempo che è intercorso tra A. e gli inizi della storia con Vincenzo ho continuato a sostenere l’uso della pillola come anticoncezionale. Se facevo sesso occasionale usavo anche il preservativo e quando avevo un ragazzo sapevo che almeno non sarei rimasta incinta. Cos’altro mi serviva sapere?
Mi ponevo tacitamente questa domanda da 1 anno prima che precipitasse tutto e me la ponevo perché in realtà sentivo che qualcosa non andava. Avevo iniziato a vivermi in maniera meccanica, le sfumature delle emozioni avevano sempre gli stessi toni. Il sesso era….meh.
Ve lo scrivo adesso, che ormai (forse), vorrete sapere come andrà a finire… Questa non è solo una storia di mestruazioni, è una storia di rinascita. Non la tirerò lunga, anche perché ciò che è stato è paragonabile solo a un’eruzione. Potente e difficile da gestire.
A pochi mesi di distanza dalla laurea mi ero svegliata con uno strano fastidio vulvare che con lo scorrere della giornata non si decideva a passare. Nulla di nuovo per me in realtà, che all’epoca convivevo con forme più o meno recidivanti di candida.
Al terzo giorno però il bruciore è diventato dolore lancinante e ho deciso di dare un’occhiata.
Ricordo ancora lo sgomento che ho provato nel guardare ciò che si rifletteva sullo specchio.
Se Daenerys Targaryen viene chiamata la non bruciata, ciò io che stavo vedendo somigliava di più a quel che accadde alla testa del suo non tanto povero fratello.
Non era però il colore e la temperatura del fuoco che sprigionavo a sconvolgermi ma il fatto che le mie sensibili, soffici, delicate piccole labbra fossero pressoché sparite. Un fiore che aveva perso i suoi petali.
Ho pianto di un pianto inconsolabile.
Non riuscivo a ricordare quando le avevo guardate l’ultima volta, o se le avessi davvero mai guardate in vita mia. Mi sono sentita menomata. Brutta. Inaccettabile. Persa.
Neanche Vincenzo riusciva a darmi delle risposte.
“Ma ti ricordi come erano all’inizio?” – “Amore sì, in effetti mi sembrano molto più piccole però non saprei dire…”
Ho iniziato un lungo iter durante il quale mi sono state fatte diagnosi di vaginite, di vaginosi, di lichen, minacce di biopsie in posti che voi umani e battute su malattie veneree. Niente.
Finché il lampo di genio di una collega del corso di sessuologia, ginecologa di Milano.
– L’anello contraccettivo in alcuni (sfigati) soggetti può dare atrofia vulvovaginale. –
BAM. La risposta che aspettavo. Pochi giorni dopo iniziava la settimana di sospensione dall’anello. L’ho tolto per l’ultima volta con un sonoro ADDIO!
Fine, direte voi. No, magari, anni di polvere sotto al tappetto non si spazzano via con un alito di vento.
Le mestruazioni sono tornate dopo la bellezza di 11 mesi da quel giorno.
In mezzo ci sono passati tantissimi brufoli, sbalzi d’umore, vampate (sì, vampate!) e un po’ di consapevole incoscienza. Ho finalmente incontrato la donna che è diventata la mia ginecologa di fiducia , che mi ha accudita con l’esperienza e la medicina tradizionale cinese.
Io nel mentre non sono stata lì ad aspettare. Per tutto quel tempo ho lavorato senza fretta, ma senza sosta sulla ridefinizione della mia femminilità e da allora ho imparato un sacco di cose su di me.
Prima di tutto che non ero una “femminuccia” nel senso più stereotipico del termine, di quelle che non riescono in nulla nella vita. Ero una donna di carattere, conoscenze e spirito, il cui utero, le stava dando una possibilità.
Ho imparato grazie a sagge maestre e bellissimi libri che scoprirsi cicliche è amarsi anche se fallibili. Accettarsi in ogni propria sfumatura e trarre saggezza da ogni fase.
Ho iniziato a conoscermi veramente, ho sentito il mio cervello e le mie ovaie suonare un TAM TAM che scandiva il mio tempo; quello per stare in compagnia e quello per ritirarsi, il tempo per progettare, quello per fare, quello per migliorare e quello per definire.
Ho chiesto alla luna di prepararmi alla diversità del mio sesso e alla chimica di ridare equilibrio ai miei ormoni.
In quei mesi mi sono iscritta ai corsi che hanno fatto di me la professionista che sono oggi.
Essere nate donna (che sia a livello biologico o identitario) ti tramanda un’eredità creativa potente. Una capacità di creazione dentro la quale confluiscono sia la possibilità di generare figli che quella di generare idee, passione, affermazione, piacere.
Così ho ho letteralmente preso in mano la mia vita proprio grazie all’immersione nel mio femminile e, quando mi ha sentita pronta, il mio utero ha lavato via l’indifferenza che gli avevo riservato.
Anche per questo oggi lavoro con la ciclicità delle donne. Perché vi deriva un potere più antico di me e di te che stai leggendo. Perché le donne posso tornare a fiorire grazie al loro ciclo, così come è stato per la mia vita e sì, fortunatamente, anche per la mia vulva.